La questione delle immagini: L'iconoclastia

Iconoclastia, dal greco eikòn, “immagine” kláō, “rompo”, indica la lotta per le immagini, in particolare raffiguranti Cristo Pantocratore e Maria. Le icone orientali sono caratterizzate dall’idealizzazione delle immagini e dello spazio in cui la divinità appare immutabile e solenne; i loro colori splendenti e il fondo oro contribuiscono a creare un’atmosfera irreale. L’iconoclastia fu scatenata, in primo luogo, dal contrasto tra l’imperatore Leone III l’Isaurico e i monaci orientali, i quali veneravano le icone: essi avevano vaste proprietà fondiarie, dunque l’imperatore voleva ridurre il loro potere. Utilizzando come attenuante la negazione delle icone da parte di musulmani ed ebrei, Leone III l’Isaurico promulga un editto nel 726 nel quale impone la distruzione delle immagini. Da questo gesto scaturì la sua immediata scomunica da parte di Papa Gregorio III, che invita a riprendere il culto delle icone.

Nel 786 la moglie dell’imperatore Leone IV il Cazaro, Irene Ateniana, fu la prima a tentare di reintrodurre il culto delle icone indicendo il concilio di Nicea II. Nel 787 dunque si tenne il settimo Concilio Ecumenico a Nicea, che condannò l’iconoclastia, affermando che le icone potevano essere venerate ma non adorate, e scomunicò gli iconoclasti, ripristinandoil culto delle immagini sacre. Esso si svolse con la partecipazione di 367 Padri della Chiesa (tra cui anche Giovanni Damasceno e Teodoro Studita). Alla base della tesi del Concilio stava l’idea che l’immagine è strumento che conduce il fedele dalla materia di cui essa è composta all’idea che essa rappresenta. La controversia sull’uso delle icone coinvolge questioni più profonde: il carattere della natura umana di Cristo, l’attitudine cristiana verso la materia, il vero significato della redenzione cristiana. Secondo gli iconoduli, infatti, la rappresentazione di Cristo è una proclamazione del dogma centrale del Cristianesimo: l’Incarnazione.

L’iconoclastia, quindi, venne condannata in quanto eresia cristologica. Analogamente anche le altre icone non intendono rappresentare naturalisticamente figure sacre, ma proclamare riflessioni teologiche. Questo è il motivo per cui la produzione di icone viene espressa dal verbo greco gràphein, che significa “scrivere”. Esattamente la definizione conciliare che conferma definitivamente lo statuto teologico dell’icona, recita: «Chi venera l’icona, venera in essa l’ipostasi di colui che vi è inscritto»(fonte Denzinger, 302). La lotta iconoclasta ebbe fine solo nell’843 quando Michele III dichiara ufficialmente lecito il culto delle icone

Il termine “iconoclastia” venne poi usato più in generale per indicare altre forme di lotta contro il culto di immagini in altre epoche e religioni o correnti religiose. Iconoclasta fu l’islam nella proibizione dell’uso dell’immagine di Maometto, così come iconoclasti furono il calvinismo e il movimento puritano sviluppatisi con la Riforma protestante in epoca più moderna, e che portarono alla distruzione di molte statue ed effigi nelle chiese e cattedrali nord-europee riformate
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Irene_d%27Atene https://it.wikipedia.org/wiki/Iconoclastia http://www.testimonianzecristiane.it/…/stor…/iconoclasti.htm

di Giordano, Geddo, Bogliolo, Giraldi - impaginato da Benedetta Iebole

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